La dematerializzazione del processo penale
  18 Aprile 2020

La dematerializzazione del processo penale

di Piergiorgio Weiss, avvocato del Foro di Milano

Nella drammatica situazione di emergenza sanitaria in cui ci troviamo, una delle domande che da cittadini, ancor prima che da operatori del diritto, ci si deve porre è se un servizio pubblico essenziale che coinvolge diritti costituzionalmente garantiti come la giustizia penale debba arrestarsi o se possa, e in che forme, proseguire.
La soluzione proposta dal Governo, come noto, è quella della “smaterializzazione del processo”, che stabilisce la celebrazione dei processi ‘da remoto’.
Tale soluzione è stata aspramente criticata tra gli altri anche dall’Associazione degli studiosi del processo penale G.G. Pisapia, nel documento che qui si pubblica. (https://sistemapenale.it/it/documenti/documento-associazione-studiosi-processo-penale-su-emergenza-carcere-covid-coronavirus-e-custodia-in-carcere)
Il tema che, del tutto condivisibilmente, si mette in evidenza è la compromissione delle garanzie difensive che tale modalità di prosecuzione dei processi comporterebbe.
Ovviamente la questione è complessa ed estremamente delicata.
Da un lato si stagliano i diritti degli imputati e degli indagati, dall’altro la tutela dei beni giuridici offesi dai reati e, più in generale, la tutela delle vittime dei reati.
Ferma restando la condivisibilità degli argomenti spesi dai processualpenalisti, pare forse opportuno sviluppare una riflessione su alcuni specifici istituti processuali. Ci si riferisce in particolare a procedimenti penali nei quali la celebrazione ‘dematerializzata’ comporterebbe un vulnus assai più modesto e comunque ben tollerabile al diritto alla difesa, in un momento emergenziale nel quale è necessario garantire per quanto possibile l’esercizio della giurisdizione penale.
Del resto, gli strumenti tecnologici oggi sono a disposizione. Ha detto bene il collega Vinicio Nardo, presidente dell'Ordine degli Avvocati di Milano, quando in un'intervista ha sottolineato che ”in un mese e mezzo abbiamo fatto un salto in avanti di 10 anni “. Una progressione che peraltro non dovrebbe essere persa, anche terminata la fase di emergenza. A titolo di esempio si pensi a procedimenti come l'udienza a seguito dell'opposizione alla richiesta di archiviazione, all’udienza a seguito di opposizione a decreto penale, all'incidente di esecuzione sino ad udienze per patteggiamenti già concordati con il pubblico ministero e forse anche – ma occorrerebbe una più approfondita riflessione – ai giudizi abbreviati ed alle udienze preliminari, nei casi in cui l’imputato abbia deciso di non partecipare personalmente. L'elenco è probabilmente incompleto e potrebbe essere implementato con altri procedimenti non pubblici (riti camerali), monocratici e con camera di consiglio differibile. Tutti procedimenti dunque che non sembrerebbero creare problemi in termini di pubblicità dell'udienza, di ascolto di testimoni, consulenti e periti, di produzione documentale, di collegialità, di immediatezza della decisione.
L’idea che la giustizia penale possa completamente arrestarsi per il periodo dell’emergenza non tiene forse conto dei tempi lunghissimi nei quali si potrà tornare alla normalità. Alcune voci suggeriscono di attendere il passaggio dell'ondata emergenziale per poi, con le debite cautele (distanze interpersonali, accessi in tribunale regolamentati, eccetera), tornare a celebrare i processi in aula.
Ma quest’ultima ipotesi pare però tenere in poca considerazione, come si diceva, l’assoluta incertezza dei tempi entro i quali una normalità o semi normalità possa essere raggiunta. Si consideri ad esempio ciò che comporta un processo penale in termini logistici, con spostamento di testimoni, avvocati, cancellieri e magistrati che si devono muovere spesso sul territorio con tragitti intercomunali o interregionali per raggiungere il tribunale. Senza considerare poi che la completa inattività è destinata a creare un ingolfamento micidiale alla ripresa delle attività giudiziarie.
Ci si rende conto che la soluzione sopra prospettata non sia risolutiva del problema, ma forse rappresenta un campo nel quale la ‘dematerializzazione’ potrebbe essere sperimentata, oltre a sgravare il sistema di parte dei procedimenti per la c.d. ‘fase 2’.